Stefania Rivoltini

frattale

il vuoto del silenzio
una goccia nel mare
un granello di sabbia nel deserto
un filo d’erba in una radura
piccola
insignificante
invisibile
in balia del vento
trasportata inerme dalle correnti
ti ho guardato
ti ho osservato
ti ho amato in silenzio
mi hai calpestata
sussurrando parole dolci al vento
zucchero sul fiele
piccola
insignificante
invisibile
in balia del vento
trasportata inerme dalle correnti
una goccia nel mare
un granello di sabbia nel deserto
un filo d’erba in una radura

insicurezza

il dubbio 
mi rende debole 
intervalli vuoti 
pensieri pesanti 
di scorci confusi 
la gelosia 
mi rende insana 
drammi sfuggenti 
spilli appuntiti 
di onde ghiacciate 
l’insicurezza 
mi rende straniera
confusi riverberi 
di un’ eco spietata 
trascinata al largo 
io 
non sono più io 
annego  
in perenni petali perduti 
tempesta 
di cenere bianca 
sparsa sui miei 
inverni

 

Serafina Tarantini

La voce silente
lingua della madre-dea
risuona nelle mie vene
la voce
si fa corpo

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sbiadiscono
nella notte
le care ombre
dalla loro camera da letto
e svaniscono
oltre la porta

 

Marina Mariani

La memoria è
un limone spremuto
piccole gocce
d’acerba trama scivolano
lente al piatto
strizzo latte
da mammelle indurite
non conto le volte
che ho ceduto il desiderio
al lupo
Digiuno è specialità
tutta femminile
sul bordo di pozzi salmastri
porta scompinella faticosa quiete

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L’inquietudine viene
perché non attendo ai nostri conversari
con la cura con cui spidocchio
le rose

Come mosche prima del temporale
si frantumano i discorsi
Lontana è l’azzurra danza
della libellula
Compongo per me-per te
con pazienza d’alfabeto morse
un tempo trapassato
Io figlia di tua figlia
da sempre mendica d’affetto
porto il tuo nome

 

 

Marina Prandelli

e continuo a parlarti
L’inverno ritorna a soffiare, un deserto
di volti il futuro e la pianura che vasta muove
dietro le dune, il mare …
le saline oltre la luce il bianco
una galassia … e continuo a parlarti.

 

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Premiata Salumeria

Sorridono, allargano le braccia – mi aspettano.
Confondono le ombre, turbano la trama.

Premiata Salumeria – Rivendita Sali e Tabacchi
l’odore acre del sale, raggrumato – il mare che non c’è.
Ogni sera l’affanno, nella grande pianura assolata.
I pioppi, le rane – i campi di frumento.
Dalla finestra scorrono i noccioli carichi, le dalie nell’orto
l‘oca Giuliva dorme sotto l’ala del fiume.
In lontananza i campi nascondono storie.
Mandano bagliori gli orecchini in filigrana della nonna – 1926 quota novanta 1
la rovina che entra in casa, sul comò Maria bambina nella campana di vetro
una ghirlanda di fiori la incorona – sorride,
beata mi avvolge nella preghiera della sera.
Io non so pregare, non ho occhi – anima …
per custodire la luce
segno il tempo come non morisse.
E non trovo le parole per ringraziare, consolare la malinconia, la pena per quel figlio dato a
[ balia.
Il pasticcio di maccheroni, la gallina ripiena, il budino alla vaniglia
due palline di gelato al limone: la domenica.
Voltato l’angolo, dietro le rogge, la terra affoga.
Filari di villette a schiera, le voci addossate.
Mi aspettano. Sorridono, allargano le braccia.
Preparano il viaggio di ritorno.

 

Giulia Grigoletto

cappellino verde appennino
dalla bancarella lungo stivale
piroettava tra rondini aironi
pettirossi e cinciallegre del fiume
insalato a ferire la terra

volava alto, più alto dei pioppi
cappellino verde appennino
dei faggi delle querce irrigate
dai ghiacciai andati in fondovalle
bacini dai tropici essiccati

non avrebbe voluto vedere
l’arsura dell’anima che acceca
la mano sinistra che falcia
la linfa del respiro

cappellino verde appennino
non avrebbe voluto sentire
il rantolo che trasforma
e così lontano dall’interrato
non avrebbe voluto andare

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Nell’altra vita sono stata soldato?
Cercarmi tra le pieghe della storia?
quella dei comuni mortali, deceduti
nei campi di concentramento
con il fucile in mano a difesa di….
di chi non si sa
cercare la voce prestata alla ragione
negli schieramenti dei tempi
ahimè ancora vigenti
nei giochi di ruolo e mascheramenti?
Qualcuna ha colto il tuo elmetto  
dato degna sepoltura a ciò che rimase
delle membra stritolate dal fuoco
nemico o amico chi lo sa
Qualcuna ha colto il tuo elmetto  
dato degna sepoltura a ciò che rimase
delle membra stritolate dal fuoco
nemico o amico chi lo sa

Zina Borgini

c.v.

Ero quella che sussurra alle piante
ero quella che si nutriva di fiori,
di profumi nell’orto dello zio
lui traghettatore della mia infanzia
mangiava rane vive
e non aveva pancia.
Ero quella che amava le piante
l’olezzo del sambuco
con foglie opposte,
picciolate e lunghe
i fiori di stelle color latte
siepe immensa tra la strada
e il castello dove regnavo nel sogno.
Ero quella che tutti volevano ballerina
a cui infilavano tutu di tulle- frufru
e copricapi con ninfee di carta
io ero quella che preferiva il fango
che strappava le code alle lucertole
che cercava lombrichi nella terra.
Si ma poi cresce, cambierà
verranno gli anni …
Per smentire tutti
ho remato controcorrente
a cavallo dei quattordici leggevo De Beauvoir
nei sedici sperimentavo il sesso
sorseggiavo long drink Bellini
vestivo blak and white
certificando la Pop Art.
Si ma poi cresce…
a diciotto gli amori li tenevo in cassaforte
pregna di gelosia, esclusivista!
Non portavo più gonne troppo corte
e correvo, correvo rincorrendo sogni
i piedi, e il cuore erano nudi pieni di segni
segni preziosamente dolorosi
segni del tempo inesorabile
che plasmano la vita interiore selvaggia
quella ch’era mia
piaccia o non piaccia.
E ancora corro,
mi sono accomodata nelle misure large
tassativamente nere
Il fiato gelido o ardente
Retta, fiera come bandiera
volteggio e sventolo nel sole
flessa, mite e bisognosa
piego la sera
quando la notte sposa.

Patrizia Puleio

La figlia imperfetta

Sono sbandata sono senza casa
sono rimasta per chiedere scusa
sono scoperta sono pasta di nervi aperti
sono fumo fuori posto
Disattendo le gole frastaglio parole
tratteggio canti bastonati
frammento sputi a santi
rammendo il passato con il sogno
Rivango l’asma con l’ansia
rammento l’oggi con il rimani
e a mani sparse accolgo i cani stolti
gli occhi spogli nel perdono
Non sono quella che ero
non c’ero mentre morivi
non credo alla disattenzione
non vedo non rido frequento soltanto
Sono niente di niente è finita
è finita là sotto è proprio sparita
in quel nulla di letto
in quel fondo di notte
È matta è una morte distratta
che non capita a tutti
è sfatta di rutti e recita a strappi
e se pare paura ha pure ragione

Anna Provenzano

appena sorta
l’alba
ombre in agguato
dilatano
cielo di nero pece.
Nell’oscurità nomino
ad alta voce
albero…gatto…donna…
La condivisione
ci muta

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Tra istinto e ragione
dentro relatività incerta
su un filo di stagno
tra le tempeste
a cercare l’imponderabile
a creare parole salvifiche
tra le pagine di questo tempo
che ciascuno nutre
l’ingordigia
della propria ombra

Valeria Zagami

FUNAMBOLi

Eppure era così semplice stare insieme
La magia di un gioco erano i nostri passi su di un filo di raso.
Ora l’equilibrio dei funamboli appare di rado,
come un dono elargito dal cielo
come un tramonto dai colori saturi
come il respiro profondo che inonda il corpo e l’anima.

OGGI! !

Oggi ti ho pensata:
una madre e una figlia;
insieme loro come eravamo noi.

L’ULTIMA VOLTA

L’ultima volta che ti ho vista 
hai pronunciato il mio nome 
come fosse il canto ipnotico 
di una nenia antica.
Avrei trascorso la vita 
a sentire quel suono 
caldo e avvolgente; 
avrei voluto trattenerti a me 
senza che il tempo finisse per niente,
e invece ho potuto darti solo un bacio sulla fronte 
e sul palmo morbido della mano: 
poi non ti ho rivista
poi non ti ho incontrata
poi non ti ho ascoltata; 
se non in sogno e negli attimi sparsi 
in cui ci sei stata senza esserci più.

Maria Luisa Parazzini

Piccolo daimon

A porta socchiusa 
il daimon corre via sbandante.
La casa vibra, i lacci rischiano 
di tutto strappare.
Devo quietarlo – non morirai –
Fatti bastar poco, piccolo demone:
sai trattenere la luce, farne tesoro
da umile traccia, sei fortunato.
Sai salire in cima all’albero
gracile e potente.
Risparmia fatica
per ritornare a casa.
Forse abbiamo saputo aspettare

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La voce che vede

Da un altro balcone
altra tana, o taglio di caverna
da un sentiero che corre in costa
arriva la voce che vede.
Da un luogo ambliope
dal telo di retina mal steso,
che segue infedele le zolle nervose del prato,
con sottile ombra sfuocata
immagini stampa .
Lì poggia lo sguardo, la voce che vede